venerdì 30 giugno 2017

Virgin Mountain: di come l'amore insegna a vivere



Da qualche anno, almeno a partire dal capolavoro di Tomas Alfredson Lasciami entrare (2009), il cinema nordico ci ha abituato a storie che con che tenera delicatezza ci raccontano di diversità e di esclusione, di forzata solitudine e di faticosa integrazione.

Sullo stesso filone di sussurrata sofferenza e bisbigliata poesia si colloca anche l'islandese Virgin Mountain di Dagur Kári, che vede protagonista il quarantatreenne Fúsi, un inserviente aeroportuale impacciato e sovrappeso: la sua vita scorre monotona e inutile a casa della madre dispotica, tra le crudeli prese in giro dei colleghi, solitarie serate in macchina girando a vuoto e ricostruzioni in miniatura delle più famose battaglie storiche, finché non avviene un incontro che cambierà radicalmente abitudini, inclinazioni e sentimenti del gigante buono. Alla fine di una lezione di ballo country, Fúsi si imbatte in Sjofn una "spazzina depressa", come lui incapace di stare al mondo: le due solitudini si incrociano, si conoscono e provano a migliorarsi l'un l'altra, ma sarà solo Fúsi, alla fine, a cambiare nel profondo, scoprendo un nuovo universo di possibilità, dagli amici al bricolage, dalla cucina al ballo. Le stesse delusioni infertegli, seppur involontariamente, dalla instabile Sjofn diventano, come in ogni fiaba che si rispetti, occasione di crescita e miglioramento per Fúsi, che si scopre più forte del previsto e che si rivelerà capace di un amore cristologico che nulla chiede in cambio, che tutto ha da dare e che porge l'altra guancia: l'ultimo, definitivo rifiuto dell'amata diviene per il gigantesco protagonista spinta al miglioramento e stimolo alla scoperta e alla vita.

Un film toccante, che insegna come, anche da adulti, si possa ancora crescere e imparare grazie all'affetto, alla tenacia e alla forza morale.

Nessun commento:

Posta un commento