martedì 17 ottobre 2017

Ci si abitua a tutto?


Ci si abitua a tutto, alla fine



È il mio tormentone del momento.
Nel senso letterale del termine però. Un tormento.
Ho sempre usato questo slogan quando mi ergevo a super consigliera e volevo rasserenare animi disperati con l'evergreen intramontabile "Il tempo cura le ferite, non preoccuparti ti ci abituerai". E poi col cavolo che ti ci abitui ma va bene lo stesso. Le ferite rimarginano col tempo ma basta una distrazione perché salti la cucitura e inizi a sanguinare. È un attimo. Ma questa è un'altra storia.

Torniamo alla frase. Alla fine ci si abitua a tutto.
L'abitudine, ecco.


Un'abitudine è rassicurante. Nella mia mente immaginavo la parola ABITUDINE come una specie di casa accogliente al ritorno dopo ogni giornata. Con annessi e connessi. La cena, la chiacchiera, le notizie alla tv o sul quotidiano, il pigiama, la copertina in plaid, il libro, l'abat-jour, una coccola se è la nostra sera fortunata, la nanna. Più o meno questi i tasselli. Più o meno in questo ordine. I gesti di quando tutto scorre placido e regolare.
L’abitudine, ecco.

Ma da qualche tempo è avvenuta la metamorfosi del senso della parola nella mia mente. Una metamorfosi che al confronto l'Asino d’oro di Apuleio può solo sbiancare e arruginire.
L’Abitudine si è trasformata in una specie di Giano bifronte, avete presente?


Solo che invece di guardare al passato e al futuro, la mia Abitudine osserva il presente, giorno dopo giorno, in due direzioni. 
Mi spiego meglio.

Da una parte l’abitudine guarda indifferente verso le cose brutte, le cose che fanno male. Dal caffè bruciato dei bar di Milano, al glifosato sui limoni che compro, ai colleghi che amici-amici ma mors-tua-vita-mea rimane il tacito accordo di ogni relazione lavorativa e sta bene così, a chi scrive “non ti fai mai sentire” tutte le volte che si fa sentire, agli inciuci all’italiana che tanto “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” e già lo sapevamo. Ci si abitua a tutto e si finisce con il pensare che sia la normalità. Abbiamo anestetizzato il pensiero e il nostro senso di umanità per pigrizia, per comodità?

Dall’altra parte l’abitudine guarda, quasi assopita, le cose belle. Et voilà.. l’incredibile leggerezza con cui diamo per scontate le piccole perle che ci circondano e che quasi finiscono per venirci a noia. I pomeriggi che assapori lentamente e raramente seduta al sole con un bel libro tra le mani, il bacio morbido del buongiorno ogni mattina, la telefonata trafelata dell’amica, le apprensioni della mamma, i pranzi preparati dalla nonna che ti vede sempre troppo magra anche quando i fianchi non passano più dalla porta, i quadri con i colori di Chagall. A volte troppo pesanti, troppo zuccherosi. Scontati. No? E toc toc. Bussa l’abitudine e la monotonia. E quindi finisci per non vedere quasi più le bellezze per quello che sono. Sbiadiscono come le tende al sole.

Mi domando se sia inevitabile o se ci sia una qualche forma di speranza. Sono troppo giovane e troppo poco esperta per propendere per la prima opzione. Punto tutto sulla speranza. Un po’ come rischiare sullo 0 alla roulette.



Allora riporto l’abitudine al suo originario significato. L’habitus. Il vestito che indosso ogni giorno cucito ad hoc sulle mie misure. 
La sua trama i miei valori, i suoi ricami i miei ideali.
E forse non sarà proprio in linea con le cinque tendenze streetstyle elencate da Chiara Ferragni ma dovrà essere ben riconoscibile. Unicità da non far sbiadire con la pioggia della “normalità”. Un abito mio da indossare sempre. 
L’Abitudine, ecco.

venerdì 30 giugno 2017

Virgin Mountain: di come l'amore insegna a vivere



Da qualche anno, almeno a partire dal capolavoro di Tomas Alfredson Lasciami entrare (2009), il cinema nordico ci ha abituato a storie che con che tenera delicatezza ci raccontano di diversità e di esclusione, di forzata solitudine e di faticosa integrazione.

Sullo stesso filone di sussurrata sofferenza e bisbigliata poesia si colloca anche l'islandese Virgin Mountain di Dagur Kári, che vede protagonista il quarantatreenne Fúsi, un inserviente aeroportuale impacciato e sovrappeso: la sua vita scorre monotona e inutile a casa della madre dispotica, tra le crudeli prese in giro dei colleghi, solitarie serate in macchina girando a vuoto e ricostruzioni in miniatura delle più famose battaglie storiche, finché non avviene un incontro che cambierà radicalmente abitudini, inclinazioni e sentimenti del gigante buono. Alla fine di una lezione di ballo country, Fúsi si imbatte in Sjofn una "spazzina depressa", come lui incapace di stare al mondo: le due solitudini si incrociano, si conoscono e provano a migliorarsi l'un l'altra, ma sarà solo Fúsi, alla fine, a cambiare nel profondo, scoprendo un nuovo universo di possibilità, dagli amici al bricolage, dalla cucina al ballo. Le stesse delusioni infertegli, seppur involontariamente, dalla instabile Sjofn diventano, come in ogni fiaba che si rispetti, occasione di crescita e miglioramento per Fúsi, che si scopre più forte del previsto e che si rivelerà capace di un amore cristologico che nulla chiede in cambio, che tutto ha da dare e che porge l'altra guancia: l'ultimo, definitivo rifiuto dell'amata diviene per il gigantesco protagonista spinta al miglioramento e stimolo alla scoperta e alla vita.

Un film toccante, che insegna come, anche da adulti, si possa ancora crescere e imparare grazie all'affetto, alla tenacia e alla forza morale.

venerdì 16 giugno 2017

Se mi inviti, io festeggio!



Tanto disprezzo l'idea di percorrere la navata di bianco vestita, quanto adoro essere invitata ai matrimoni.
Parliamone ragazze, non esiste occasione migliore per sfoggiare mise altrimenti immettibili, dall'abito in seta rosa ai tacchi Jimmy Choo, dai guantini in pizzo che scansati Madonna degli anni d'oro ai fascinator che Kate Middleton può accompagnare solo.
Lasciate perdere l'ipocrisia di condividere il giorno più bello della loro vita con gli sposi (anche perché non è il giorno più bello della loro vita, come ho già detto).

Un matrimonio è l'occasione per sentirsi fighe come sul red carpet, e per rimorchiare la qualsiasi, altro che tinder, once, happn. Se avete un briciolo di cervello berrete il giusto per essere un po' brille ma non messe, insomma capaci di intendere e di volere, ma contemporaneamente coi freni inibitori a briglie sciolte: puntate, flirtate, ballate e SBAM! Magari rimarrete comunque single a vita (che schifo non fa mai), ma anche una sana bottarella non ha mai ucciso nessuno.
Se in più il fotografo è bravo, pure un mezzo book gratis vi potete scroccare, che così fighe non lo sarete mai, a meno che non rientrate nella categoria donne magiche, ma questa è tutta un'altra storia.
Per non parlare poi di quei matrimoni con la band figa o il dj set: ballare fino allo sfinimento con gli amici più cari, urlando "LE NOTTI NON FINISCOOOOONOOOO", è un piacere che, a mio modestissimo parere, non ha prezzo.
E concludiamo con una chicca: certi matrimoni sono così trash, che ciao Real Time ciao. Sono quelli che mi danno più soddisfazione: dopo aver visto un chihuahua di fucsia bardato portare le fedi all'altare, credo di averle viste tutte (e ringrazio ogni giorno per aver assistito alla scena). Questi sono i momenti magici per cui vale la pena vivere.
Insomma. Sposatevi. E Fatelo per me

venerdì 9 giugno 2017

Sì lo voglio. Ma poi... perché?


Prima o poi ce lo chiediamo tutte: perché sposarsi?
Certo l'abito bianco da principessa potrebbe essere un valido argomento di dibattito. Per non parlare del profumo dei fiori d'arancio e della solennità della marcia di Mendelssohn.
Ma... sarà sufficiente?

Anche se non tutte lo ammettono ad alta voce, l'amore da favola rimane un sogno. Nel cassetto. Chiuso. Così serrato che ci siamo dimenticate dove abbiamo lasciato le chiavi per aprirlo, questo cassetto.
Perché?
- le cose belle fanno paura;
- le cose belle richiedono sacrificio e fatica; 
- le cose più belle implicano il coinvolgimento di altre persone che non possiamo controllare ma solo amare.
- le cose belle, quando vengono a mancare, lasciano una ferita.

Aggiungiamo alla lista una buona dose di pessimismo alimentata dai fallimenti che ci circondano. Sembrano dirci che nulla duri.
Se prima il matrimonio era un vincolo da dover stringere per avere un riconoscimento sociale e per poter lasciare la casa dei genitori, oggi è solo una scelta.
Una scelta molto costosa, tra le altre cose.

E così si opta per la convivenza. Meno rischi, meno impegno, meno fatica.
C'è solo un piccolo intoppo, più o meno implicito.
La convivenza ci autorizza a mettere in conto il fallimento. La vocina sommessa dentro di noi ci dice piano: "Viviamo insieme e ci amiamo sì, finché dura". 
Se poi non va almeno ci abbiamo tentato, è che proprio non ha funzionato. Caratteri troppo diversi. 

Mi sembra come andare a giocare una finale sapendo di perdere, come prepararsi ad un colloquio convinti che prenderanno il solito raccomandato. Manca la motivazione. La sfida. Il rischio.
È la logica a cui ci hanno abituato negli ultimi 30 anni. Consuma veloce ciò che ti piace senza aspettare, cambia veloce ciò che non ti piace più, non appena affiorano nuovi desideri. E di desideri siamo letteralmente bombardate ogni giorno. Sotto assedio.
Le cose nuove sono facili da ottenere.Le cose vecchie difficili da riparare, non valgono più la pena.

Non sto dicendo che tutte le convivenze falliscano. Conosco coppie che non si sono mai sposate perché non condividono il valore del matrimonio e sono l'esempio vivente dell'amore.

Per spiegarmi meglio devo giocare a carte scoperte. Io vi parlo da credente. 
E quindi rispondo alla domanda principale: perché sposarsi?
L'amore ai miei occhi è l'incontro di un Tu con un altro Tu che spazza via quell'inquietudine che abbiamo e che cerchiamo di riempire da sempre. Ma due Tu soli non bastano.
La nascita di una famiglia in fondo è un po' come una mini-Creazione (qui rasento l'eresia, me ne rendo conto). Grandiosa e difficile. I progetti grandiosi richiedono sforzi altrettanto grandiosi. 
E per questo essere in due non basta. Il Sì sull'altare è un invito a Dio ad entrare a far parte di questa unione. Un'unione che è qualcosa di diverso e di più grande di due singoli Tu. Un'unione che mette in atto quell'Amore presente solo in potenza. È questo il caso in cui si sfidano le logiche matematiche, in cui 1+1 non fa 2.
Fa di più. Molto di più. 

Il pianeta Terra mi chiama e quindi termino qui il mio volo icarico (che non sono sicura esista come aggettivo ma ha reso l'idea). Se volete una visione meno smielata vi consiglio la lettura della controparte:Felici Ma trimoni

venerdì 19 maggio 2017

Felici ma trimoni




No. Purtroppo l’idea geniale del titolo non è mia ma di uno dei miei dei della musica, idolo indiscusso e capello spaziale, Caparezza, già sul pezzo nell’ormai lontano 2006 quando si chiedeva: Ma perché vi coniugate, a che serve? Mica siete dei verbi”.
Esatto, perché? No, davvero, spiegatemelo voi perché io, da sola, proprio non ci arrivo. Perché, arrivati ai trent’anni, sentite lo spasmodico bisogno di convolare a nozze, più o meno giuste, mentre io sento lo spasmodico bisogno di ingollarmi serie su Netflix come se non ci fosse un domani? Perché i miei amici si sposano e figliano, mentre la mia conquista più grande è non lasciare l’acqua del thè sul fuoco finché non è evaporata tutta?
Ecco, ora, io lo so che anche in me c’è qualcosa di sbagliato, che sono immatura, scettica e anarchica e l’idea di firmare un contratto che mi lega a un’altra persona per tutta la vita mi toglie il fiato, che scansati record del mondo di apnea.
Io lo so che morirò cincischiando, perché in fondo sono pigra e cinica e non sono proprio due virtù che ti spingono a cogliere l’attimo, svegliandoti all’aurora come canta il caro Guccini.
IO SO.
E, pay attention, non giudico e non critico quelli che si sposano, eh. Contenti voi, contenti tutti. Vorrei capire perché lo fate. Dimentichiamoci il mio agnosticismo, virato all’ateismo, che a me cazzomene di essere sposata davanti agli occhi di Dio; tralasciamo il fatto che si sposano Fedez e la Ferragni, e già questo dovrebbe essere un ottimo deterrente all’idea di indossare l’abito bianco; togliamoci di torno anche il mio mantra “l’amore è eterno finché dura”, grazie al quale sono sopravvissuta finora, districandomi tra cocenti delusioni che al confronto il rigore di Baggio è una ventata di aria fresca. E cambiamo domanda: perché dovete ridurre l’amore a un misero contratto? Nel mio mondo, tetro e sconsolato con un tocco di melò e romanticismo becero, l’amore è un dono quotidiano, da dare e ricevere, senza costrizioni. L’amore è scelta di ogni giorno e come tale deve restare. Perché, parliamoci chiaro: finito l’entusiasmo del corteggiamento e del limone duro, dell’innamoramento e del sesso spaziale, si sceglie di amare qualcuno liberamente, senza che sia un contratto a imporcelo.

Ho detto la mia. Tolgo il pentolino del thè, che altrimenti mi evapora l’acqua.

venerdì 12 maggio 2017

Come fare bene l'amore


Un titolo così è impegnativo, lo so.
Sì, perché il post ha più probabilità di essere letto
E io ho più probabilità di deludere i lettori.
Come lo so? La dimostrazione sei proprio tu, lettore occasionale, che sei arrivato fino a qui sperando di trovare consigli su come migliorare la tua prestazione sessuale.
E io come previsto ti deluderò, forse.

La prestazione e l'ansia da prestazione. Ma perché?
Io mi rivolgo soprattutto a te, lettrice donna. Tu sai che il sesso non è che sia sempre così travolgente come ci raccontiamo. E in fondo la mia controparte nera qui sotto non ha tutti i torti. Quante volte hai già finto un piacere inesistente per compiacere un partner inconsistente?

L'annosa quaestio: il sesso sembra essere l'unità di misura del nostro valore.
O protese a rendere soddisfatto un partner che altrimenti si stufa e ci abbandona in autogrill per una teenager in shorts e calze a rete. O smaniose e bisognose di conferme e allora collezioniamo animali da serata la cui performance spesso non rasenta nemmeno la sufficienza.
La verità è che così facciamo la fine degli scendiletti, calpestati dagli altri e da noi stesse.

So cosa stai pensando a questo punto. Ecco la solita bigotta perbenista. Non ti contraddirò. Però attualmente mi sento rivoluzionaria nel mio pensiero.
Abbiamo sdoganato tutto lo sdoganabile, abbiamo inneggiato alla libertà sessuale, abbiamo distrutto il pudore etichettandolo come "sfigato". Ma cosa è seguito alla distruzione?
E tu... ci hai guadagnato?
1. Se la risposta è sì premi "indietro" e ritieniti fortunata, stai vivendo nella consapevolezza di te e ne sei felice.
2. Se la risposta è no domandati: come posso evitare che il sesso mi renda schiava? Perché è così, io sono schiava delle aspettative degli altri, schiava degli apprezzamenti e dei doppisensi, schiava della pubblicità di "Intimissimi" che tappezza la città e mi fa sentire un acaro intimidito sotto il letto al confronto.

Ecco, allora forse abbiamo bisogno di qualcuno che ci insegni a fare l'amore. Crearlo letteralmente. L'amore è quando hai trovato una scintilla di te in un'altra persona e allora hai deciso di fermarti li. Di tirare fuori il tuo meglio. Di coltivare quella "cosa" che ti fa intuire un qualche segreto sull'eternità, che ti fa sospettare un senso .
E quando ami il corpo dell'altro ti sembra il David di Donatello. Perfetto.
Riconosci il profumo della pelle e lo cerchi sul cuscino nelle assenze.
Sai a memoria il profilo e lo disegni ad occhi chiusi.

Così fare l'amore diventa splendido. Quando è un inno al corpo dell'amato. Quando è una musica che fa risuonare i tuoi sentimenti.
Così non può stancare mai. Cosi non servono le "Cinquanta sfumature" per tenere viva la passione.
E poi.. trova qualcuno che ti guardi come Botticelli con la sua Venere. Fidati, da qualche parte c'è.


venerdì 28 aprile 2017

Donne magiche: chi sono e come riconoscerle


Io mi chiedo come facciano certe donne ad essere sempre, e sottolineo sempre (ci scommetto, anche dopo un travaglio di 24 ore), perfette. Sono magiche. Quando le incrocio sulla 90 o sul 14 (sarà lì che si riuniscono), vorrei afferrarle per le spalle, guardarle dritto negli occhi e urlare: “COME FAI? COME FAI AD AVERE LA PIEGA CHE NON SI INCRESPA, CHE È LA STAGIONE DEI MONSONI E C’È UN’UMIDITÀ CHE NEMMENO ALL’EQUATORE?!”. Voi no? Perché, parliamone ragazze, certe donne sono di un’altra categoria, che io ammiro e invidio, perché – come già anticipato – sono magiche.

Innanzitutto, alle donne magiche il trucco non cola e non sbava mai. In discoteca, limone duro con il più figo della festa, e il loro rossetto rimane impeccabile, il mio si spande fin sotto il mento – e il tizio che mi son fatta non era neppure un granché. Per non parlare del loro contorno occhi che non cola di un millimetro nemmeno dopo che han fatto le 5 del mattino in pista, mentre io sono ridotta stile panda piangente già dopo dieci minuti di (non) ballo. Dei loro capelli ho già parlato, quindi andiamo oltre, con buona pace della loro messainpiega sempre a livello Aldo Coppola.

Non paghe di sminuirci sul trucco, le donne magiche ci sminuiscono anche sul vestiario. Ovviamente sono più fashion di Chiara Ferragni e, se le vedesse Enzo Miccio, non potrebbe far altro che complimentarsi, perché sono in grado anche di anticipare a lanciare tendenze. Io sono certa che il verde petrolio, colore must have per l'autunnoinverno 2017/2018, sia stato inventato da una donna magica, e che già lo indossa adesso, perché io non ho idea di che cosa sia il verde petrolio e soprattutto sono sicura che se lo indossassi sembrerei una di Ragazze Interrotte (e di certo non la Rider). Per non parlare delle loro calze che, più sottili della carta velina e più morbide della carta igienica Scottex, non sono mai smagliate, mentre io non faccio in tempo a uscire di casa che il mio gatto mi ha già tirato un filo o la calza mi si è impigliata nell’unica microscopica scheggia della sedia.

E poi c’è, ovviamente, la loro pelle che risplende e non mostra la minima imperfezione, nemmeno un minuscolo poro dilatato. Non ho ancora capito quali prodotti – cosmetici o intrugli che siano – utilizzino le donne magiche; probabilmente pozioni di pipì di pipistrello e dente di zanzara, perché a me, puntualmente, prima di un appuntamento, da qualche parte spunta un brufolo orrendo, che nemmeno il più salino dei dentifrici può riassorbire, il più potente dei Topexan sconfiggere e il miglior correttore nascondere (e sfido chiunque ad affrontare un appuntamento in tale condizione).
L’ultimo indizio che vi fa capire che una donna è magica è lo smalto, che ricopre unghie perfette, né troppo lunghe (che sarebbe volgare) né troppo corte (che sarebbe trascurato). Non è mai sbeccato o scheggiato, non lascia mai scoperta la parte iniziale dell’unghia ed è comunque più lucido di quello di noi babbane. Io ci ho provato con tutta me stessa, ma avere lo smalto come il loro richiede la precisione e la pazienza di un amanuense di Chiaravalle, ore e ore trascorse china a dare strati su strati con infaticabile perizia, e poi comunque dopo tre giorni (massimo) mi si sbecca, e allora mi parte un vaffanculo e lascio perdere.
Però almeno, con estremo amore e massima cura, sono riuscita ad avere le unghie della lunghezza giusta, della lunghezza magica.


Ah no, me ne si è rotta una l’altro ieri. È quasi magia, stronza.

venerdì 21 aprile 2017

La Prestazione Sessuale di Merda



Dopo la riflessiva parentesi pasquale, affrontiamo un tema sexy, scabroso, scottante, ovvero (rullo di tamburi) la Prestazione Sessuale Di Merda (PSDM), di cui ora analizzerò nel dettaglio il diverso grado di intensità.

1. Torpore: caratterizzato dal fatto che la donna tende ad assopirsi, ma, se stimolata, si risveglia ed è in grado di eseguire semplici pratiche sessuali con una certa svogliatezza e di emettetre qua e là qualche gemito. Addirittura, la risposta all’orgasmo maschile può essere una simulazione ben riuscita, di cui voi uomini rimarrete per sempre ignari. La malcapitata riesce anche a contrarre i muscoli del piede perché ha letto in uno studio dell’Università di Oxford che, nel momento della petit mort, proprio quei muscoli si contraggono involontariamente. La donna è ancora in grado di assecondare il suo partner.

2. PSDM lieve: la donna è sempre più difficilmente risvegliabile e non risponde agli stimoli più intensi, sebbene talvolta emetta qualche biascicato gemito che assomiglia di più al lamento di uno a cui hanno pestato il piede. La risposta all’orgasmo maschile è peggio interpretata ma sempre presente, tuttavia la poveretta si dimentica di contrarre il collo del piede e allora magari al partner più istruito sorge qualche dubbio, ma – ve lo garantisco – è davvero difficile che uno si sia letto la sera prima la ricerca oxfordiana. La donna è ancora in grado di assecondare il suo partner, anche se svogliata.

3. PSDM di medio grado: la donna non reagisce più a nessuno stimolo, e anche se ci fosse con lei Rocco Siffredi rimarrebbe lì inerte e priva di qualsivoglia forma di eccitazione. Solo i suoi occhi sono ancora in grado di reagire chiudendosi un poco quando le sembra il momento opportuno, e ancora riesce a simulare un respiro pesante e affannoso, ma di gemiti nemmeno l’ombra. Quando il partner raggiunge l’orgasmo, alla sventurata, che mostra chiari sintomi di reattività ridotta, occorre qualche secondo per realizzare che è giunto il momento di lanciare un urletto e di di dirgli: “Sei stato fantastico”. Non essendo più in grado di assecondare il proprio partner, la donna ricorre all’ultima arma rimastale: la menzogna.

4. PSDM grave: la stimolazione che sia di mano, di lingua, di sex toy, di pene non provoca risposta alcuna, e la donna rimane immobile a fissare il soffitto e a pensare che, cavolo, quella crepa andrebbe proprio fatta stuccare, altrimenti ci viene giù l’intonaco intero. Vi è ancora segno di vita nei meccanici “sì, dai”, “quanto mi piace”, “continua” che sbiascica a intervalli regolari, dovendo ricorrere alla menzogna ben prima che nel caso della PSDM di medio grado. Ogni tanto prova a trattenere il respiro nella speranza che la carenza di ossigeno la faccia svenire e ponga così fine alla sua sofferenza. Con reattività scarsa o abolita, all’orgasmo maschile la miserabile lancia un occhio all’orologio, pensa che Chi l’ha visto? sta già per incominciare, lo riempie di falsi complimenti su quanto “come lui nessuno mai” ed è già in compagnia della Sciarelli.

5. PSDM gravissima: la donna può presentare ancora una parvenza di vita solo perché è fisicamente presente nel letto. Per il resto mancano gemiti, reazioni pupillari, falsi incoraggiamenti e simulazione. In genere, gli arti sono rilasciati, privi di tono, e non vi è più nessuna reazione all’orgasmo maschile, nemmeno la menzogna. La malcapitata, dopo aver sperato per tutto il tempo che l’intonaco le crollasse in testa e la mandasse in coma irreversibile, non fa altro che rimanere immobile, maledicendo se stessa e le sue pessime scelte in campo sessuale.

6. PSDM depassé: caratterizzato dalla abolizione completa di ogni attività cerebrale e fisica da parte femminile. La donna è più di là che di qua. È mantenuta in vita solo dall’idea che presto, molto presto finirà, si spera. E che era meglio comprarsi un gatto.

venerdì 14 aprile 2017

Non solo cioccolato: perché Amo la Pasqua




Perché Pasqua?

Avvertenze prima dell’uso: questo post è volontariamente provocatorio. Si propone di suscitare domande senza la pretesa di fornire risposte. 


Certo il cioccolato è buonissimo e anche la grigliata del lunedì in compagnia degli amici. Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi. Non ci sono più le mezze stagioni. Chi più ne ha più ne metta. Tutto molto piacevole.
Ma perché celebriamo la Pasqua? Perché ci scambiamo auguri e ovetti dolcissimi? È come imbucarsi a un party di cui non si conosce il festeggiato. Ci si diverte, certo. Ma non è come quando partecipi alla gioia di un’amica/o che vuole condividere con te un momento importante.


Non sono mai stata in grado di compiere un’azione senza interrogarmi sul motivo che mi spinge a farlo. Mi sentirei un criceto su una ruota che gira a vuoto. Si concentra su un movimento che non ha una direzione reale.

Il rischio enorme è questo: la routine quotidiana, gli impegni scadenzati, lo stress degli obiettivi, le paure di non farcela…sono forze centrifughe che catalizzano la mente. Ma è davvero tutto qui?


Io credo di no e non mi vergogno a dirvi che ho fede. Una fede faticosa che a volte vacilla e che ha sempre bisogno di rinnovarsi. Una fede tortuosa. 
Vivo con felicità la Pasqua perché mi ricorda la cosa più importante di tutto: L’Amore, la forza che muove il creato: granelli di sabbia e stelle, foglie e onde, nuvole e rugiada. Tutto ha in sé una scintilla di bellezza e risponde alla potenza dell’amore. E c’è un Dio che si è fatto uomo e ha amato così tanto da morire in croce per lasciare un unico messaggio: nonostante le sofferenze e i sacrifici siamo fatti per amare. Punto. Per amare noi stessi e gli altri.

Per questo ci stupiamo commossi difronte a un paesaggio mozzafiato, ci emozioniamo vedendo la nascita di una nuova creatura o banalmente piangiamo guardando un film d’amore. È il risveglio della nostra scintilla più vera che fa le capriole quando incontra la Vita e la Verità. 
E nemmeno la morte può vincere l'Amore. L'ultimo nemico che verrà sconfitto. La Morte. Minaccia e calpesta ma si deve sottomettere docile all'Amore. Che infatti rimane e dura. L'avete sperimentato vero? L'Amore risorge, sempre. Anche tra le macerie.
 

Ok mi fermo e non proseguo oltre perché non ho la presunzione di sottoporre teorie. Vorrei solo mettere una pulce piccola piccola nell’orecchio.


Valutiamo il guadagno e la perdita, scegliendo croce, cioè l'esistenza di Dio. Esaminiamo questi due casi: se guadagnate, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla. Scommettete dunque che egli esiste, senza esitare.(B. Pascal)

giovedì 6 aprile 2017

Fidanzati fantastici e dove trovarli


L'indipendente: l'uomo indipendente richiede, nella giusta misura e senza trascurarvi, i suoi tempi e i suoi spazi: non sarete messe da parte né diventerete un riempitivo. Ovviamente concederà a voi gli stessi, identici diritti, altro che pari opportunità e quote rosa. L'indipendente è la nuova frontiera del femminismo. Indispensabile.



L'attento: c’è. Semplicemente e splendidamente c’è. Quando parli ti ascolta, davvero. Non attacca occhi finti sulle palpebre per fingersi sveglio mentre tu ti arrovelli alla ricerca della soluzione a un problema. Non sbadiglia durante la discussione della tua tesi di laurea, causa di notti insonni occhiaie da panda e crampi addominali.  Non potrebbe farlo. Perché lui è lì per te. E ogni tuo problema, ogni tua gioia, ogni tuo traguardo è un po’ anche il suo.
Ti capisce o almeno si sforza di capirti, di mettersi nei tuoi panni.
L’”attento” è un esemplare in via d’estinzione a causa della proliferazione dell’inarrestabile virus dell’egocentrismo, piaga sociale  ad oggi ancora in fase di studio.
Marcalo stretto e ritieniti molto molto fortunata ad averlo accanto.


Il deciso: consigliato a tutte le donne impulsive o cincischiatrici, il deciso è in grado di acchiappare le proprie opportunità al momento giusto e non scappa di fronte alle responsabilità. Coglie l'attimo che ciao, Orazio, ciao. Anche quando voi non sapete farlo, perché siete così insicure da non saper scegliere nemmeno il fondotinta. Il deciso: non lasciatevelo scappare.


Il maturo: ha superato eroicamente la fase dell’adolescenza. Non ha bisogno di dimostrare agli amici di essere il più virile in una gara di rutti o il più spericolato in una corsa con gli scooter in tangenziale. Non ha bisogno di collezionare ogni sera una ragazza diversa per confermare la propria virtus. Non ricerca spasmodicamente conferme o apprezzamenti. Ha imparato ad accettarsi, a volersi bene. È completo e sa bastarsi. Probabilmente le esperienze della vita lo hanno già messo a dura prova ma ne è uscito vittorioso e ha imparato ad accogliere anche le sofferenze.
Non ti sceglierà per colmare lacune affettive o perché ti ha scambiato per un surrogato materno. Ti sceglierà perché ha visto in te qualcosa di bello che vale la pena proteggere e coltivare. Sarà amore vero e chi lo conoscerà non tornerà più indietro.


Il tradizionalista: poco incline a rinunciare ai pranzi della domenica in famiglia, il tradizionalista è legato alla famiglia in modo sano e non è cresciuto sotto una campana di vetro: rispetta valori incisi nella pietra. Seppur presente, sua madre non sarà mai invadente e voi potrete approfittarne quando non aver sbatti di cucinare. Insomma, il tradizionalista è come il maiale: non si butta via niente.



L'attivo: da non confondere con lo sportivo incallito per alcune superficiali assonanze. È un ragazzo in forma ma senza fanatismi. Ha fatto suo il motto mens sana in corpore sano ma non passa il suo tempo a scattarsi foto in palestra in fase di sollevamento pesi allo specchio. È a posto con se stesso e non ha bisogno di conferme altrui.
Dopo che vi ha conquistata non si abbandona sul divano con boxer, birretta e Playstation, assumendo con il trascorrere del tempo le sembianze e la verve di un panda. No, lui ha spirito d’iniziativa ed è intraprendente. Vi coinvolge in attività divertenti e sa gustare a pieno i piaceri della vita.


Il virile: specie ormai in via d'estinzione, l'uomo virile non va confuso con il trasandato. Si districa tra monociglio e ala di gabbiano, tra orsetto e wurstel con un'abilità che il Ronaldinho dei tempi d'oro può accompagnare solo. Evitando gli eccessi della cura maniacale e della sciatteria, il virile vi farà sentire delle vere donne, soprattutto se barbuto. Accattatevillo.


Il generoso: non significa sperperatore. Il “generoso” è un compagno di vita altruista. Non ti metterà in imbarazzo chiedendoti di pagare la cena perché conosce molto bene la galanteria. Non ti rinfaccerà la benzina spesa per percorrere il tragitto da casa sua a casa tua. E non si tratta solo di un discorso economico.
Il generoso ama e ci tiene a renderti  felice. Non ha paura di andare “in perdita” a concederti troppo. Il tempo trascorso insieme non è mai uno “spreco” per lui. Cosa volete di più?


Sincero: ah, il sincero... un uomo che non conta balle ormai è come un'oasi del deserto. Sarà che il trend "ce l'ho più grosso io" ormai è un morbo universale e che le bazze sono un must per ostentare la virilità, ma un uomo che riconosce e ammette i propri limiti è meglio, e su questo non ci piove. C'aveva visto lungo Arisa quando canticchiava "sincerità, un elemento imprescindibile per una relazione stabile": occhi aperti e accaparratevi il sincero, manco fosse un parcheggio in Ventura durante il salone del mobile.


Il solare: è il tuo Sole.  La tua fonte di calore. Una vera e propria manna dal cielo. Il fidanzato solare è quello che ha deciso di vivere la vita con leggerezza senza inutili paranoie. Sa sempre trovare in tasca le parole giuste da pronunciare per farti ridere anche quando con il moccio al naso e gli occhi annacquati lo guardi affranta dall’ennesima lite con la collega. Il suo abbraccio è avvolgente ed è un porto sicuro in cui approdare ogni sera per ricordarsi che in fondo le piccole e grandi sventure della quotidianità sono nulla in confronto all’amore.

venerdì 31 marzo 2017

Come si cambia... per (non) rimorchiare. Le serate con le amiche: pre e post fidanzato




Premesso quanto già detto sulle difficoltà di vedersi una volta adulte, le serate tra amiche cambiano anche in base alla rispettiva situazione sentimentale. E non venitemi a dire che solo gli uomini devono mettere la testa a posto, una volta parcheggiata la minchia.

Single
Sfatiamo un altro mito: non solo gli uomini vanno a caccia ma anche le donne, solo che usano armi diverse. E le uscite con le amiche quando sei single hanno tre obiettivi principali:

1. Divertirsi e parlare male degli uomini, non importa se siano ex o stronzi qualsiasi seduti al tavolo di fianco. Lamentarsi tra amiche del sesso opposto quando la vagina è secca è un must. Ovviamente sempre infighettate alla meglio perché il tacco 12 tutto può;
2. Sfasciarsi, possibilmente di birra, per perdere un po' i freni inibitori e ammettere a se stesse che in fondo gli uomini non fanno poi così schifo e che una scopata randomica non ha mai fatto male a nessuno. Parte la serata ignorante in discoteca e con lei la caccia;
3. Ballare fino a restare senza fiato e, se dice bene, rimorchiare un uomo a caso e poi parlarne male con le amiche. Un rimorchio serale non diventa MAI una storia d'amore, fanculo a Meredith Grey che ci ha illuse tutte. Riprendere a ballare per dimenticare l'ex e pure il tizio che vi siete limonate. Fare possibilmente l'alba che domani è un nuovo giorno e si dormirà quando saremo morte.


Fidanzata

Anche noi, una volta impegnate (o ammanettate, come preferite) inevitabilmente cambiamo atteggiamento e chiudiamo la mise da rimorchio nel cassetto più recondito dell'armadio. Ma le uscite con le amiche, per fortuna, non finiscono e hanno sempre tre obiettivi principali:

1. Divertirsi e parlare male del proprio compagno, non importa se lui ha palesemente ragione e voi torto marcio.  Trovare il pretesto più futile per lamentarsi tra amiche della propria relazione  è un must. Ovviamente sempre infighettate alla meglio perché la classe non è acqua anche quando la vita sessuale vi sorride;
2. Sbevacchiare, possibilmente vino che fa più chic, per perdere un po' i freni inibitori e ammettere a se stesse che in fondo la relazione non va così male, ma sul lavoro è una merda perché il vostro collega è uno stronzo testa di cazzo e gli uomini (tranne uno) fanno schifo, meno male che avete detto addio al sesso occasionale. Parte la serata tranquilla: vino, film e cioccolato perché, tra gestire relazione/lavoro/famiglia annessi e connessi, tutto quello che volete sono un divano e un pigiama;
3. Sostenute da cioccolato e vino, ballare in camera, cantando a squarciagola, che il neonato del piano di sotto impallidisce al confronto. Restare a parlare fino all'alba, del più e del meno, di cose belle e brutto, ma soprattutto del collega stronzo di cui sopra, perché gli uomini, tutti tranne uno, vi hanno rotto. Fare possibilmente l'alba che domani è un nuovo giorno e si dormirà quando saremo morte.

giovedì 23 marzo 2017

Perchè fare serata con le amiche cambia. Drasticamente.


Eravamo quattro amiche al bar che volevano cambiare il mondo...

O forse bastava cambiare se stesse. E crescere, con i sogni chiusi nelle borsette.





Sono le amiche di sempre, quelle del liceo, quelle che ti hanno vista crescere e cambiare, quelle che hanno condiviso a pieno la crisi adolescenziale, quando sul viso ogni centimetro di pelle ingaggiava un’estenuante e stoica lotta contro l’acne ruggente, quando all’ansia della versione di greco o della verifica di chimica del giorno dopo si aggiungeva quella di tutte le “prime volte”: la prima cotta sospirata e mai ricambiata, la prima serata in discoteca quando barcollante e impacciata sui primi tacchi tentavi di fingerti disinvolta sulla pista illudendoti di sembrare Alex Owens di Flash Dance, la prima festa della scuola che nel tuo immaginario si profilava stile Prom americano e poi si rivelava essere un party da scantinato dei peggio organizzati, la prima storia d’amore con i crampi allo stomaco che si mischiavano alle farfalle svolazzanti.

Ecco loro. E le vostre serate insieme. Quanto sono cambiate nel tempo?


Prima
Era facile ed entusiasmante organizzare le serate. Sedute tra i banchi di scuola passavate le ore a progettare le uscite del weekend. Probabilmente tra di voi c’era la pioniera, quella aggiornata sui locali più cool da provare, in contatto con i principali PR della città. E poi c’era la sognatrice, quella che per ogni invito a feste o compleanni faceva partire un film mentale degno di contendersi il primato con Il tempo delle mele di Pinoteau.
C’era la timorosa: "Ci sarà anche Lui?”, “E io cosa mi metto?”. E voi giù a tranquillizzarla anche se in fondo non potevate fare a meno di essere contagiate dalla sua scossa elettrica.
E poi le interminabili telefonate del pre-serata con annesse scommesse e previsioni flirtologiche.


Dopo
L’organizzazione della serata è diventata il vero insormontabile ostacolo da superare. Il resto è discesa e stridore di denti.

Primo step: Vediamoci in settimana. Calendario alla mano. Missione: trovare una sera libera in comune. Ce la faremo? Serpeggia il panico e si comincia a sudare freddo. Con la matita si spuntano serate in agenda come se non ci fosse un domani. Come minimo finisce che la settimana designata slitta di almeno una quindicina di giorni.
Secondo step: dove? Missione: trovare un luogo facilmente raggiungibile a tutte. Né troppo incasinato per il parcheggio né troppo isolato perché non si sa mai, né troppo costoso (qualcuna sta ancora finendo lo stage pur essendo vicina all'età del pre-pensionamento) né troppo cheap (altrimenti cosa postiamo su Instagram?!?), dove si possa fare aperitivo (abbondante e vario) o anche bere solo una tisana calda (inno alla vitalità).

Superate queste due fasi uscite a riveder le stelle. E a rivedervi, stelle!
E iniziate subito a snocciolare tutte le novità delle vostre vite. Anche qui c'è la pioniera, quella che coraggiosamente prima di tutte ci prova, compra casa e mette su famiglia. E voi, con la mascella cadente per la sorpresa, vi mostrate entusiaste e felici mentre sotto sotto, in un posticino nascosto, vi chiedete quando verrà il vostro turno, ma non lo dite, non lì perlomeno. Manca il fiato ma ingerite svelte una boccata d’aria e andate avanti ad ascoltare con un bel sorriso stampato sulla faccia.
C'è l’amica che fa carriera e che vi mostra orgogliosa tutte le prove della sua promettente scalata sociale che costa qualche sacrificio ma vale la pena, a detta sua. E poi c'è l’insoddisfatta, quella piena di aspettative che tardano a realizzarsi, che procrastina decisioni per paura di sbagliare.

Eravamo quattro amiche al bar che volevano cambiare il mondo...

O è il mondo che alla fine cambia noi. 

Eppure potrebbero passare anche anni ma ogni volta che ci si rivede il tempo sembra essersi fermato. Ex soldatesse reduci da una guerra combattuta insieme, la crescita.